A tu per tu con Mariagrazia Veccaro
A tu per tu con Mariagrazia Veccaro

A tu per tu con Mariagrazia Veccaro

Riprendiamo la nostra rubrica di interviste con editor professionisti, lo spazio per comprendere il lavoro, spesso oscuro, che viene svolto per giungere alla realizzazione di un libro. Per questo quarto appuntamento ospitiamo con grande piacere Mariagrazia Veccaro, editor e consulente editoriale.

Mariagrazia Veccaro è nata e vive ad Alberobello, in provincia di Bari, dove gestisce il bed and breakfast letterario “Il Segnalibro B&B”. Attualmente, dopo i canonici studi umanistici, sta terminando il suo percorso formativo come assistente all’autonomia e alla comunicazione presso l’Istituto dei Sordi di Torino. Collabora come articolista con varie riviste letterarie e cinematografiche e lavora come consulente editoriale ed editor freelance.

Ciao Mariagrazia, benvenuta, siamo felici di averti ospite nella nostra rubrica.

Torniamo indietro nel tempo, magari a 10-15 anni fa. Se qualcuno ti avesse detto che saresti diventata una editor, una correttrice di bozze e consulente editoriale, come avresti reagito? Un sogno che si avvera o qualcosa di totalmente inaspettato?

All’epoca ero una matricola in Lettere Moderne che coltivava idee variopinte e vaghe su cosa volesse diventare da grande (un’insegnante, una giornalista di attualità per le vie di paesini sperduti e metropoli al neon, magari una saggista di letteratura russa o afroamericana…), ero solo sicura che scrivere e leggere, le due attività che da quand’ero bambina più mi piaceva fare, avrebbero continuato ad ampliare, oltre i limiti ristretti della mia esperienza e delle impossibilità concrete di movimento, il senso della complessità del mondo che avevo. Poi per caso ho iniziato a risistemare articoli e tesi di alcuni miei amici e più in là a spurgare dai refusi racconti e romanzi brevi di amici di amici. Corso dopo corso ho perciò affilato i ferri del mestiere e sono entrata a far parte del meraviglioso e crudele mondo editoriale, anche se sto comunque cogliendo alcune di quelle idee variopinte e adesso meno vaghe che sono cresciute dentro il mio giardino.

Cosa rappresenta per te editare un testo? Che rapporto hai con il manoscritto, al di là ovviamente dell’aspetto squisitamente tecnico.

Un romanzo, un saggio o un racconto per come l’ha scritto l’autore è un po’ come un palazzo al di là di una impalcatura, l’atto dell’editing è fondamentale per rimuovere l’impalcatura, raschiare i calcinacci, pulire le stanze e ridipingere i muri, insomma rimettere quel palazzo a nuovo.

Mi prendo cura di un manoscritto giocando sempre in sottrazione ovvero tenendo ogni volta bene a mente di non sovrascrivere mai il mio timbro (stilistico e di ego) su quello dell’autore che desidero invece mantenga la sua cifra e i suoi colori tanto da far credere alla fine ai suoi lettori che canti in un assolo senza essere stato accordato da un altro strumento prima. Personalmente verso i manoscritti cerco di alimentare una volontà d’amore, soprattutto di fronte a quelli più confusionari e scompigliati ai quali all’inizio sembra di certo sempre più complicato volere un po’ di bene.

Qual è a tuo avviso la qualità migliore che un editor deve acquisire nel suo percorso di formazione e quale, invece, la dote innata che deve possedere?

Un buon editor è in primis, come dicono tutti, un lettore libero e onnivoro. Magari ha discusso a voce alta con Marx e bevuto una limonata fresca sul portico in legno di Carver ma ha anche imparato a flettere i muscoli nel vuoto come Rat-Man e a cucinare da un vecchio ricettario siciliano delle frittelle di semolino. Poi, con questa stessa soppesata lievità e assenza di pregiudizi nella lettura, affronta la prima bozza di un manoscritto. Un buon editor è un professionista che continua a formarsi e ad aggiornarsi anche quando sembrerebbe essere già arrivato e che resta, quando è davvero arrivato, sempre disponibile con chi si sta timidamente affacciando al suo stesso lavoro e ricettivo al confronto senza nessun tornaconto o secondo fine nelle fiere editoriali, festival letterari, convegni e presentazioni. La sua dote innata è per me quella di saper leggere la musica delle parole, nei pentagrammi di un periodo o di una frase con un orecchio assoluto che ce l’hai o non ce l’hai.

Editing, correzione di bozze, schede di valutazione, scouting. Potendo scegliere uno solo di questi lavori, quale preferiresti e perché?

Senza dubbio lo scouting. Trovare una pentola d’oro in forma di manoscritto alla fine dell’arcobaleno, scommettere che il mio fiuto sappia riconoscere ancora la scia di un libro indimenticabile o di un successo editoriale (due cose che, purtroppo, il più delle volte viaggiano in parallelo senza incontrarsi mai). È una goduria lavorare sulle schede di valutazione, sono scatole cinesi che mi permettono di fare il punto della situazione, di indicare all’autore o all’editore come potenziare un testo e cosa invece lasciare andare, che mi permettono di entrare nella tana del Bianconiglio piena zeppa di infiniti rimandi ad altri libri speculari o da consigliare.

Una nostra domanda classica è quella di scegliere un solo aggettivo che definisca il tuo lavoro.

Morettiano. Perché come diceva Michele Apicella in “Palombella rossa”: «Le parole sono importanti».

Ci puoi raccontare la maggiore soddisfazione derivante dalla tua professione e l’esperienza invece più negativa?

È una bella attestazione ricevere chiamate da parte di quegli autori che ritornano per chiederti di affiancarli ancora una volta nella revisione di manoscritti futuri o di altri che ti invitano per condividere con loro presentazioni, premi o semplicemente una pizza a cena. La soddisfazione più luminosa, però, la percepisco di solito quando vedo uscire dal cono d’ombra dell’anonimato scrittori dal talento prezioso senza che vengano fagocitati come la maggior parte dall’ipertrofia delle proposte editoriali.

Per quanto riguarda le esperienze negative sono principalmente due quelle su cui ogni editor credo inciamperà nel suo percorso almeno una volta: la prima è una sottesa ma pervicace svalutazione del proprio lavoro considerato spesso da chi è estraneo all’ambiente (se non addirittura da alcuni autori) come “uno di quelli che possono fare tutti”, ché “basta cambiare due virgole e sistemare degli erroracci grammaticali”, e dall’altra la frustrazione della gavetta all’interno delle CE che per lo più passa attraverso eterni stage, messe in prova e tirocini sottopagati o gratuiti. In merito a quest’ultimo punto non smetterò mai di ringraziare Les Flâneurs Edizioni, la casa editrice che da alcuni anni mi ha accolta, che è l’esempio perfetto di come sia invece possibile coniugare una salda professionalità alla premura verso i propri collaboratori.

Come associazione crediamo profondamente che la capacità di sognare sia un ingrediente essenziale nella scrittura, non a caso le nuvole – la materia dei sogni – sono presenti nel nostro nome. Ritieni che questo aspetto sia più o meno importante rispetto alla capacità tecnica di un autore?

Kenzaburō Ōe diceva che i suoi romanzi erano un modo per tornare al villaggio nella foresta dov’era cresciuto, dove la sua foresta immaginaria e la casa della sua infanzia si sovrapponevano. Nel processo creativo è sempre vero che il reale e l’immaginario si confondono perché scrivere è di solito ripopolare il deserto e biodegradare i propri dolori con sogni nuovi.

Nel caso di un testo particolarmente impegnativo o difficoltoso e in cui il confronto con l’autore sia frequente, sei più psicologa o editor?

Da alcuni anni oltreoceano molti editor si sono ribattezzati “book doula” poiché sostengono di aiutare gli autori a mettere al mondo le loro opere così come le levatrici non professioniste assistono le puerpere durante il travaglio e la gestazione. Al di là di questa perspicace operazione di marketing, sono d’accordo nel credere che noi editor incontriamo gli scrittori nel momento esatto in cui sono più vulnerabili, ansiosi e insicuri ovvero tra la revisione e la pubblicazione, due fasi che cambieranno irrimediabilmente il libro da come in potenza loro lo avevano pensato. Faccio parte della scuola di azione di Niccolò Gallo che a detta di Garboli tendeva voracemente ad annullare la distanza tra sé e l’autore quando c’erano da sbrogliare dei nodi particolari durante l’editing e quindi sono per il confronto costante, serrato ma non pedante, e la vivisezione del testo a quattro mani. Coltivo, insomma, l’arte dell’empatia e della santa pazienza.

Tra editing, valutazione testi, letture personali, quanto del tuo tempo lo passi immersa tra le parole?

Bella domanda. Quella sulla ripartizione del tempo è una riflessione che mi ha occupata parecchio nell’ultimo anno, sai? Ultimamente sto cercando di evitare di restare quotidianamente troppo a mollo come prima negli editing e nelle letture personali. Non mi sto affannando più a correre in libreria alla ricerca dell’ultima novità editoriale o a fare la conta dei libri letti al mese su un taccuino, anche se continuo ancora a considerare alcuni scrittori indispensabili per riaggiustarsi l’anima quanto un meccanico per sistemare una Panda o un cardiologo le coronarie. Per evitare gli avvitamenti solipsistici tipici di questo lavoro e del lettore compulsivo sto cercando perciò di dare più spazio alle salette di un cinema, al volontariato e agli affetti più cari.

Ti ringraziamo di aver risposto a così tante domande, ti auguriamo il meglio per il tuo futuro professionale e nel salutarti ti poniamo la nostra domanda di chiusura: se potessi modificare un solo fattore dell’attuale mercato editoriale che cosa cambieresti?

Se potessi avere i poteri di Gandalf il bianco mi piacerebbe che l’Italia diventasse un po’ francese e affilasse gli strumenti legislativi necessari per promuovere cocciutamente la lettura. L’allargato cerchio magico di lettori appassionati e leali pronti a strappare dalle mani di docenti (più) curiosi, rivenditori e bibliotecari decine di migliaia di copie di libri ancora fresche d’inchiostro – me le immagino sci-fi, fantasy e graphic novel – farebbe andare a dormire bene la sera case editrici medie e piccole, scrittori bravi, bravissimi che finalmente sono stati scoperti ed editor dalle occhiaie giganti. Viva il lupo e grazie, “Lessico & Nuvole”!

I profili Facebook e Instagram di Mariagrazia Veccaro

2 commenti

  1. Cinzia de Bellis

    Intervista avvincente e illuminata che merita maggiore diffusione e spazi di discussione per far emergere le criticità del villaggio globale dell’editoria e dei numerosi editor che, come ha sottolineato, la giovane intervistata, non hanno vita facile in un lavoro non sempre riconosciuto e valorizzato.

    1. Grazie Cinzia, è proprio lo scopo che ci prefiggiamo come associazione. Far vedere il dietro le quinte di un mondo editoriale sconosciuto ai più. Mariagrazia, così come gli altri editor intervistati, ci ha aiutato molto in questo senso. Continui a seguirci.

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